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Herr Salieri
CHIUDIHerr Salieri
Balletto in due parti
di Fabrizio Monteverde e Mauro Conti
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Coreografia: Fabrizio Monteverde
Scene e costumi: Antonio Utili
Maggiodanza - Fiesole, Teatro Romano 1991
"Bilioso, incattivito, accigliato, sporco di crema e di vaniglia, goloso ubriacone, alto su un trespolo, piedistallo-poltrona, ultimo rifugio, monumento funebre elevato alla sua impotenza, "Herr Salieri" scuote i suoi fantasmi, li eccita, li mortifica, li vivifica, li doma, li evoca. Sono tutti ai suoi piedi, basta niente a farli emergere dal fondo della sua memoria, niente a farli scomparire nelle pieghe dell'oblio. Lavoro notturno e impervio. Impossibile. Riappare sempre quella figura acerba e screanzata, quel garzoncello ridanciano, quel "beniamino" di Dio, cui tutto è permesso, toccato dalla grazia, fatto immortale: Amadeus. Lacerante ricordo. Lacerante rimorso in quel teatro della rimembranza, della mediocrità riconosciuta, della supremazia altrove individuata. L'alea permane come il pettegolezzo. E le voci. Le voci di un Salieri avvelenatore che circolarono all'epoca a Vienna, e che alimentarono la fantasia di un Puskin e di un Rimski-Korsakov, fino a Peter Shaffer, a Milos Forman e ai vari processi che puntualmente alimentarono la fantasia "noir", la suspence. Cronaca spicciola. Ma certo le domande restano. Perché quel funerale di terza classe, deserto e disertato da amici, estimatori e parenti, persino dalla moglie Costanza? E quella tomba mai più ritrovata?" Gabriele Rizza
Herr Salieri è un percorso insano, una traiettoria mentale e (a)morale. È un incubo ossessivo, un'isteria malata, affannosa, una cerimonia, una straziante sinfonia di rimorsi. È un balletto d'epoca, un minuetto, lo specchio di una società, di un ambiente, di un colore ammuffito e fulgido. È una dissolvenza di pensieri e di azioni, di voglie e sentimenti. ma è anche una riflessione sul teatro e sull'attore, sulla rappresentazione come artificio simbolico e perversione scenica, sui modi e i tempi del guardare e del procedere tra segni e codici, senza fermarsi mai a guardare indietro.
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Histoire du soldat
CHIUDIDell'operina da camera di Stravinski-Ramuz, Franco di Francescantonio ha interpretato numerose versioni nella sua carriera, con diversi registi.
La versione della quale rimangono più testimonianze è quella con la regia di Massimo Masini, che debuttò nel 1986 a Trento, nell'ambito del Festival Musica '900.
Il cast era il seguente :Franco di Francescantonio - Il Diavolo
Maria Grazia Nicosia - La Principessa
Mario Pardi - Il Soldato
Elsa Agalbato - Il Narratore
Coreografia: Charles Vodoz
Elementi scenografici: Samuele Calosi
Lo spettacolo sarà poi ripreso nel 1990, a Grassina (FI), nell'ambito del Festival Danza Primavera, con lo stesso cast, con la sola sostituzione di Mario Pardi, nel ruolo del Soldato, a cui subentra Gianluigi Tosto.
Di questa ultima versione possediamo una ripresa video e diverse foto
Una precedente versione, di cui possediamo solo testimonianze fotografiche e recensioni di alcuni giornali, era avvenuta nel 1982, presso il Teatro Romano di Verona, per la regia di Fiorenzo Giorgi.
Il cast era il seguente:Raoul Grassilli - Il Narratore
Alfredo Bianchini - Il Diavolo
Franco Di Francescantonio - Il Soldato
Lia Musarra - La Principessa
Coreografia: Milko Sparemblek
Abbiamo poi una più che esigua testimonianza (una solo foto) di una versione con la regia di Micha Van Hoecke, e di una versione all'interno della Rassegna "Incontri in terra di Siena", a Sinalunga nel 1991 nella quale Franco interpretava il ruolo del Narratore.
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video (edizione Grassina 1990)
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Il Gabbiano Johnathan Livingston
CHIUDIMusica di Massimo Buffetti,
Con Franco Di Francescantonio, voce recitante
Sun Ah Choi, Martina Chiarugi, Riri Nakamura, Filippo Corretti, Riccardo Ragno, Trio Ad Lib (Mya Fracassini, Katja De Sarlo e Costanza Redini) Giovanna Berti, Caruso Colzi, Gabriele Lombardi,
Presso la Villa Poggio Imperiale a Firenze,
Sound Nicola Serena,
Images Filippo Corretti,
Shooting Marzia Maestri
programma di sala/locandina
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video
lascia una testimonianza"Il gabbiano 1&0 è un recital-concerto per attore, gruppo d'archi, percussioni, gruppo vocale, impostato sul racconto divertente e intenso di alcuni brani tratti da "Il gabbiano Jonathan Livingston" di Richard Bach.
Al vero Gabbiano Jonathan che vive nel profondo di noi tutti'
Adatto a un pubblico variegato, nello spettacolo parola e musica dialogano, ciascuno in funzione del proprio linguaggio espressivo. La musica accompagna le parti narrative, lasciando talvolta spazio alla sola interpretazione dell'attore, o in alcuni casi prendendo il sopravvento, permettendo così anche ai musicisti, quando possibile, di interagire con l'azione attraverso i suoni.'top page
Il Piccolo Principe
'Partitura per Il Piccolo Principe'
CHIUDIBasato sul testo di A. de Saint-Exupéry
Musica Massimo Buffetti Autorivari Ensemble
Franco Di Francescantonio narratore
Alda Dalle Lucche, Lucia Danesi, Sandro Tani, sassofoni
Paolo Faggi corno
Firenze Piccolo Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 14-17 gennaio 2003
programma di sala/locandina
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video (Il re)
video (L'uomo d'affari)
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Il Principe Costante
CHIUDIgallery
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"La vicenda del Principe Costante si svolge su uno scenario dove lo scontro ideologico fra le religioni è stranamente sempre attuale.
Il dialogo imbastito nei convegni planetari tra le confessioni dimostra certo una vocazione alla tolleranza ben più evoluta che al tempo di Calderon, ma non è sostanzialmente diverso da quel codice cavalleresco che nel Principe Costante garantisce il rispetto reciproco tra mori e cristiani sul piano umano e nelle relazioni diplomatiche.
La ragione naufraga là dove si intacca il principio della fede ed allora la violenza e la vendetta possono toccare livelli di sconvolgente disumanità.
Ma anche l'autoviolazione per fede, così evidente nel dramma calderoniano, può essere oggetto di riflessione profonda.
Tuttavia, nonostante la sua appariscente attualità, il testo di Calderòn non produce soluzioni confortanti per la nostra mentalità del dialogo, poiché diventa problematico là dove si afferma la supremazia della fede cristiana, come unica portatrice di civiltà e di verità. In definitiva, dunque, il fascino inquieto del Principe Costante nasce da quel meccanismo del sublime che il testo scatena superando qualsiasi limite ideologico. Il supremo sacrificio della vita, che perseguito per un ideale fa parte dell'assoluto, ci commuove, ci annienta e la posizione critico-ideologica viene di conseguenza sconfitta.
L'eroe è sublime non tanto perché è cristiano ma perché è eroe.
In un processo di simbolizzazione dello spazio che rispecchia tensioni ideologiche ed ambiguità profonde, attualità ed archetipi, la parola diventa determinante alla costruzione del linguaggio totale, trasformando il cerimoniale linguistico barocco in drammaturgia fisiologica, in evento, in disegno sonoro, in musica.
Quest'ultima sarà complementare al ruolo dell'attore e concorrerà con la parola, con il gesto e con gli eventi scenici alla globalità drammaturgica, esaltando il concetto di interdisciplinarietà del progetto."
Pier'alli
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Images d' Ida Rubinstein
Idolo, amazzone, principessa, mecenate
CHIUDISpettacolo ideato e diretto da Beppe Menegatti
su copione di Cosimo Manicone ispirato a testi di Jean Cocteau
con:
Carla Fracci
Franco Di Francescantonio
Cosimo Manicone
Ballerini del Corpo di Ballo della Scala
Coreografie di Luc Bouy, Millicent Hodson, Kenneth Archer
Decor di Elena Puliti
Produzione Teatro alla Scala
"Images d'Ida Rubinstein - Idolo, amazzone, principessa, mecenate", è uno spettacolo ideato e diretto da Beppe Menegatti su un copione di Cosimo Manicone ispirato a testi di Jean Cocteau. "Ida Rubinstein e' stata una personalita' determinante per lo sviluppo artistico del nostro secolo, promotrice e testimone di grandi avvenimenti culturali, morta in oblio", racconta Menegatti.
La vita della nobildonna ebrea, artista "scandalosa" per i canoni della rigida società di San Pietroburgo, stella dei Ballets Russes di Diaghilev e osannata interprete di balletti audaci quali "Cleopatre" e "Scheherazade", ma soprattutto mecenate lungimirante (su suo invito D'Annunzio scrisse "Il martirio di San Sebastiano" musicato da Debussy e Claudel la "Giovanna d'Arco al rogo" per Honegger), non e' pero' riproposta direttamente: lo spettacolo evoca la diva per mezzo di suggestioni e ricordi. È una rappresentazione complessa, piena di umori, in cui danza e recitazione si alternano sostenute dalla musica. Prendendo spunto da due articoli comparsi alla morte della Rubinstein nel 1960, Carla Fracci ricostruisce l'emozione che provo' quando seppe della scomparsa della grande artista e ne evoca la figura attraverso i personaggi che le diedero la fama. Un viaggio a ritroso nel tempo, nel quale la Fracci è affiancata da due attori, Cosimo Manicone e Franco Di Francescantonio, e da un gruppo di ballerini del Corpo di Ballo della Scala.
San Sebastiano, Giovanna, Salomè rivivono nelle musiche di Debussy, Honegger, Ravel, Stravinsky, nelle parole di Wilde, D' Annunzio, Gide e nelle coreografie di Luc Bouy, Millicent Hodson e Kenneth Archer.top page
L'astronauta
CHIUDI"Gruppo Manifesta" presenta: Estratti dalle prove del balletto "L'astronauta"
Scritto e coreografato da Angela Bandinelli
Musica: Art Ensemble of Chicago and Soweto - Riflessioni su Erik Satie del Vienna Art Orchestra
Interpreti:
Franco di Francescantonio - L'astronauta
Monica Baroni - L'amata
Neva Ceseri - Un'anima
Monia Bazzani - Una curiosità
Sarah Siliani - Un viaggio
Francesca Stampone - La luna
Angela Bandinelli - Le maree
Rappresentazione avvenuta Venerdì 4 febbraio 1994 presso il Teatro della Casa del Popolo di Grassina
Il ricavato della serata andò a beneficio dell'Associazione U.I.L.D.M. per la ricerca sulla cura della distrofia muscolare
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La macchina del tempo
Barcellona fine '700, New York fine '900
CHIUDIConcerto spettacolo a Napoli
Sala Curci 11-12 dicembre 2000
Regia: Franco Di Francescantonio
Con: Franco Di Francescantonio - Lettura e cura dei testi
Marco Cappelli - Chitarra classica e chitarra elettrica
Musiche: Fernando Sor e John Zorn
Letture da: José De Esponceda e John Fante
Se il tema del cartellone "Dissonanzen 2000" è lo scarto temporale, ciò che abbiamo chiamato la macchina del tempo, per questo terzo incontro con il nostro pubblico si può parlare a ragion veduta di schock.
Tra i sette dialoghi in forma di concerto che stiamo mettendo in scena, l'incontro tra gli Studi per chitarra di Fernando Sor (Barcellona 1778 - Parigi 1839) e The book of Heads, per chitarra elettrica, di John Zorn (New York 1953) appare il più spregiudicato, non solo per la distanza epocale e per la differente natura dello stesso strumento utilizzato, quello classico in Sor e la sua moderna versione elettrica in Zorn, ma particolarmente per la differente natura dei contesti in cui nascono le due opere: canonico, istituzionale e illuminista quello del chitarrista e compositore catalano, eversivo, underground e radicale l'habitat del saxofonista e compositore newyorkese.
Ma, nondimeno, in entrambi i casi esplicitamente si fa riferimento alla forma dello studio inteso, sia da Sor che da Zorn, come territorio di ricerca sistematica delle possibili modalità tecniche di utilizzo dello strumento in questione, da un lato, ma anche come esercizio di catalogazione della varietà di attitudini espressive di un pensiero compositivo applicato, in questo caso, alla chitarra.
Sor concentrò il suo lavoro, considerato oggi passaggio didattico ineludibile nella formazione di un chitarrista classico, sui problemi correlati all'impostazione e al movimento delle dita, estendendone assai le possibilità tecniche, e nel contempo ridisegnando la tavolozza espressiva della chitarra di fine settecento. Dal canto suo Zorn, mentre guarda, da un lato, alla chitarra elettrica della fine degli anni '70 (l'opera è del 1978) come strumento ormai classico, assemblando un patchwork di stilemi strumentali di uso comune o evinti dai maestri conclamati (in un frammento fanno esplicitamente capolino Hendrix, Metheney, Santana, tra gli altri), dall'altro immette nella collana dei 35 Études che compongono l'opera, quegli elementi extra tanto cari a un altro compositore newyorkese, John Cage, come l'uso di vari oggetti più o meno singolari che interagiscono on l'esecuzione strumentale, come lime, bacchette metalliche tra le corde, archetti sul polistirolo e palloncini pieni di chicchi di riso: espedienti frutto di una ricerca visionaria di nuovi suoni, nuovi timbri possibili.
Il teatro, che rimane fuori dalla porta, o appena sulla soglia, nel caso di un esercizio squisitamente musicale come è lo studio strumentale, irrompe, stasera, con la presenza di Franco Di Francescantonio. Con le sue straordinarie doti di attore totale (vocalità, canto, mimica, danza, maschere) Di Francescantonio interpreta il progetto-sfida di Marco Cappelli proponendo un suo personalissimo studio, questo sì genuinamente teatrale, sugli intrecci possibili tra due scrittori altrettanto apparentemente inconciliabili: José De Esponceda (1808-1842), scrittore e poeta spagnolo, rivoluzionario liberale all'epoca di Ferdinando VII, impegnato, sia come giornalista che poeticamente, nella difesa del proletariato agricolo, e John Fante (1909-1983), scrittore e sceneggiatore nato in Colorado da una famiglia di emigranti abruzzesi, che trovò fortuna a Hollywood (nomination per l'Oscar alla sceneggiatura di Full of Life, del '52) nel modernissimo cosmo della Fabbrica dei Sogni dell'immediato dopoguerra.
Frammenti da El estudiante de Salamanca e da El diablo mundo del primo e da Sogno di Bunker Hill, La strada per Los Angeles, Tesoro qui è tutto una follia (lettere alla moglie e ai figli da Napoli), Il Dio mio padre, Dago Red, Troppo in gamba quel ragazzo, oltre al già citato Full of Life del secondo, s'inseguiranno al ritmo serratissimo di uno zapping funambolico, essendo il virtuosismo l'argomento del dialogo che vi proponiamo stasera, il propellente della macchina del tempo che ci consentirà il vertiginoso andirivieni di duemila miglia e trecento anni di distanza.Claudio Lugo
(Direttore artistico Dissonanzen)top page
La voce umana
CHIUDIAnno: 1987
Autore: Jean Cocteau
Regia: Franco Di francescantonio e Tobia Ercolino
Scene e costumi: Tobia Ercolino
Luci:Guido levi
Fonica Paolo Mari con Franco Di Francescantonio
Interventi al sassofono di Roberto Buoni
Produzione: compagnia Pupi e Fresedde/Teatro di Rifredi Coproduzione Montalcino Teatro '88programma di sala/locandina
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lascia una testimonianzaUn’originale versione al maschile del celebre testo di Cocteau, all’interno di una scenografia cangiante secondo gli umori dell’interprete, un dolente e profondissimo Franco Di Francescantonio. All’inizio il sipario si apre solo di un paio di metri. Attraverso la fessura, spiamo un “lui” che aspetta una telefonata con pochi gesti che accennano ad una sensibilità femminile: il guardarsi allo specchio, il toccare e tagliare con le forbici i capelli biondi che poi si riveleranno essere una parrucca. Tutto questo nel silenzio più assoluto, rotto soltanto da un sassofono un po’ avvilente che con apparente casualità si ferma a caso e riparte. Poi il sipario si apre del tutto e si vede una camera da letto desolata, con un armadio mezzo vuoto e il letto disfatto, ambedue incongruamente sbilenchi, mentre il muro di fondo è costituito da due enormi tende alla veneziana chiuse. Il telefono inizia ripetutamente a suonare. Il protagonista ogni volta corre a rispondere ansioso e poi si irrita per le interferenze di una signora che cerca un dottore, intimandogli di lasciare libera la linea perché qualcuno lo deve chiamare da un momento all’altro. Ed infatti la telefonata arriva ed i mobili ritornano nella loro posizione naturale. Lontano, in capo a quel filo di telefono che è l’ultimo legame che ancora resta, un altro “lui” che se ne vuole andare, stanco del menage, consumato da un amore troppo esclusivo, deciso a ricominciare la vita, senza violenze, senza gelosie, addirittura con una specie di pietà affettuosa per l’altro. Ogni tanto le veneziane si aprono e allora un grande specchio inclinato mostra di fronte ciò che in realtà avviene per terra. Come nel finale, quando l’attore steso sul letto, al colmo della disperazione per l’abbandono, finisce sul dietro, su un letto identico al primo ma enorme, dipinto per terra, dove si lascia andare ad una sequenza di posizioni di grande forza comunicativa; finché, stringendolo con le mani, il letto si accartoccia intorno a lui, mostrandolo sospeso, in un poeticissimo “trompe l’oeil”, in un accecante cielo blu.
La Voce Umana è stata scritta nel 1930 e da allora famose ed importanti messinscena hanno visto grandi attrici dare vita a questa lunga e "banale" telefonata, durante la quale un'amante cerca disperatamente di sottrarsi al dolore dell'abbandono da parte della persona amata. Trasferire al "maschile" questo monologo-dialogo significa allargare ad un contenuto universale un problema che, per cultura e consuetudine, era proprio della donna: vedere un uomo spogliato di tutte le sue corazze, totalmente immerso nella condizione di perdente e terrorizzato dallo spettro della solitudine, dona al testo una dimensione più profonda e attuale. Altro elemento importante è il "lavoro" operato sul linguaggio di Cocteau, in modo da trasfigurarlo in un linguaggio neutro e quindi ambiguo: l'interlocutore è un uomo, una donna o, forse, nessuno? La regia dello spettacolo nasce dalla collaborazione di un attore e di un pittore scenografo: C'è un diretto rapporto tra parola e immagine, tra recitazione e atmosfera visiva; gli elementi scenografici si trasformano e giocano il loro ruolo in base all'evolversi delle componenti emotive del personaggio che, a sua volta, usa lo spazio scenico come ruolo reale, ideale o immaginario.
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Lettera al padre
CHIUDIDa Franz Kafka
Di: Massimo Masini e Franco Di Francescantonio
Coreografia: Daniela Capacci
VIII Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano 1983
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video (Martina Franca)
lascia una testimonianzachiudi rassegna stampaCitta Nuova del 10-10-89
Lia Lapini
Il Tirreno 16-02-90
Avvenire
Corriere del Giorno Martina Franca
Il Popolo 06-08-83
L'Arena 13-05-85
L'Unità 04-08-83
La Città Firenze 17-03-84
La città Firenze 26-03-85
La città Valdichiana
La Gazzetta 02-04-8
La Nazione 02-04-89
La Nazione Lucchesini
La Nuova 10-02-91
La Repubblica 02-04-89
La Repubblica 11-08-93
Messaggero Veneto 01-12-91
Paese Sera 18-03-84Lettera al padre, liberamente tratto dallo scritto omonimo di Kafka, fu allestito per la prima volta nell'ambito dell'VIII Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano, e da lì ha iniziato una fortunatissima serie di rappresentazioni in Italia e all'estero, con crescente successo di critica e pubblico. Kafka, che scrisse questa lettera nel 1919, intende mostrarci "in tutta la sua tremenda aggressività, il diritto paterno di amare senza capire e di creder nell'efficacia di un simile amore: a questo il figlio oppone il diritto di smascherare l'aggressione".
La riduzione teatrale cerca di focalizzare un rapporto padre-figlio che condiziona i momenti più significativi della vita dell'uomo: dall'educazione repressiva, dall'impossibilità di un dialogo diretto, dalla delusione di veder crollare la propria creatività, scaturiscono paure e sensi di colpa che sfoceranno in un desiderio di indipendenza che non si realizzerà.
Le pagine di questa lettera hanno suggerito agli autori una serie di "immagini" teatrali che ricorrono a moduli espressivi diversi, quali la parola, il gesto, la danza e la ricerca della loro fusione in un unico interprete. Il regista Massimo Masini e la coreografa Daniela Capacci hanno trovato nelle diverse esperienze teatrali di Franco Di Francescantonio, che nel corso della sua attività ha alternato spettacoli di prosa, mimo e danza, la concreta possibilità di questa fusione.
Un personaggio rivive i momenti, le emozioni e i sentimenti che hanno caratterizzato il suo rapporto con il padre, in una stanza immaginaria che viene scomposta alla ricerca di luoghi in cui egli possa leggersi dentro e finalmente... "dire".top page
Libera me
CHIUDIdi Yehoshua Sobol
19-20 Febbraio 2000 - Teatro Sant'Andrea - Pisa
Traduzione: Bina Tofano
Revisione del testo e regia: Alberto Rosselli
con
Franco Di Francescantonio
Gianluigi Tosto
Maurizio Sazio
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video (Pisa)
video (Barcellona)
lascia una testimonianzaUn singolare viaggio di un padre e di un figlio. Un percorso intimo arrivato al capolinea. Un incontro-scontro doloroso, aspro e spietato, attraverso una reciproca assunzione di responsabilità.
La lingua teatrale, volutamente spigolosa e intransigente, cerca di rispettare le intenzioni dello scrittore israeliano, raggiungendo squarci di inaspettata levità e ironia tanto da insinuare i toni della commedia nelle pieghe della tragedia. L'affascinante opera di Sobol viene trasportata in spazi inusuali in cui la parola aderisce al luogo e a chi lo popola, avvalendosi di volta in volta di intimità e suggestioni diverse, per un progetto sulla funzione sociale e antropologica dello spettacolo contemporaneo.top page
Lingua Toscana in bocca fiorentina
CHIUDIDi Franco Di Francescantonio
Musica eseguita dal vivo
Con Franco Di Francescantonio
Alfredo Bianchini, voce amatissima della radio toscana e raffinato cantore e dicitore, calcò i più importanti palcoscenici italiani in compagnia di registi e attori prestigiosi, tra cui i toscani Franco Zeffirelli, Paolo Poli e Ave Ninchi, senza disdegnare gustose apparizioni in televisione ed al cinema.
Negli anni 70 Alfredo Bianchini volle rendere omaggio alla sua fiorentinità con un brillante recital dal titolo "Lingua toscana in bocca fiorentina"; un titolo che era tutto un programma e che vogliamo oggi riproporre come introduzione ad una serata speciale di brani, versi e canzoni, affettuosamente ideata e realizzata da Franco Di Francescantonio, amico ed allievo di Alfredo, con cui ha recitato in numerosi spettacoli diretti da Franco Zeffirelli, Sergio Tofano e dallo stesso Bianchini.
In Lingua Toscana in bocca fiorentina Franco di Francescantonio tesse il suo rècital dando voce al Bianchini della Clizia, spunta così un monologo di Nicomaco, ecco poi qualche bella poesia dei crepuscolari, onomatopee dei futuristi, dimenticate ninne nanne toscane, ballate (Maremma amara), macchiette, dispute mattiniere tra marito e moglie in puro dialetto fiorentino. Franco di Francescantonio è un artista raro e originale, capace di spaziare con disinvoltura dalla recitazione, al mimo, alla danza, al canto, creando spesso suggestioni, commistioni e interferenze.top page
M'illumino
Un viaggio nel cuore della parola con i poeti italiani del '900
CHIUDI"Questo secolo che sta per finire mi fa sentire figlio. Figlio di un padre che ha vissuto intensamente, che sta per andarsene e che mi lascia una eredità cospicua. Ho la fortuna di avere il Teatro come cassaforte, come contenitore di cose preziose che mi permette anche di mostrarle e donarle, senza il timore di perderle.
Fra tutte, la perla più amata è la poesia. Ho scelto i poeti e le poesie seguendo un percorso totalmente emotivo, mi sono lasciato trasportare dai suoni, dalle immagini create, più che dalle tematiche o dalle cronologie.
Campana, Caproni, D'Annunzio, Marin, Montale, Pavese, Palazzeschi, Pasolini, Penna, Ungaretti; questi poeti hanno contribuito notevolmente alla creazione del mio mondo immaginario, poetico e magico. Sono arrivato alla poesia attraverso il teatro e mi ha sempre affascinato l'ambiguità che si crea quando il tempo e il ritmo si confondono con la geometria della scrittura, quando la rima trasforma in musica un altro linguaggio, quando la parola va verso il suono e sconfina nel canto. Ho chiesto a Stefano Agostini, Tomasella Calvisi, Jordi Collet, Andrea Chimenti e Claudio Lugo, che sono amici e musicisti, di scegliere una poesia che amano e musicarla per me. Li ringrazio per questo dono."
Franco Di Francescantoniotop page
Mistero e processo di Giovanna D'Arco
CHIUDIPrima rappresentazione assoluta 26, 27, 28, 29 ottobre 1989
Nuovo allestimento del Teatro di Pisa
In coproduzione con Comune di Reggio Emilia/I Teatri e Teatro Regio di Parma
Direttore e concertatore : Luciano Pelosi
Maestro del coro : Luciano Pelosi
Regia : Roberto De Simone
Scene : Mauro Carosi
Costumi : Odette Nicoletti
Coreografie : Micha van Hoecke
O.R.T. Orchestra della Toscana
Coro del Teatro di Pisa in collaborazione con A.C.A. Artisti Coro Associati
I personaggi del Processo: Giovanna d'Arco Cristina Sanmarchi; Il Vescovo Pierre Cauchon Mario Valgoi; Jean Beaupere Antonio Pierfederici; Jean d'Estivet Felice Leveratto; Jean Massieu Stefano Peruzzo; Jean de la Fontaine Micha van Hoecke; Il Medico Mario Granato; Il Boia Calogero Buttà; Primo soldato inglese Patrizio Trampetti; Secondo soldato inglese George Stephen Woodbury; Il generale dell'esercito inglese Jonathan Barry.
I personaggi del Mistero: Giovanni Ernesto Lama; La donna dai capelli rossi Fiorella Potenza; Il Mendicante cieco Franco di Francescantonio; La Madre di Giovanni Maria Tommaso; La venditrice di pesce Adria Mortari; La donna di campagna Lucilla Galeazzi; Il vecchio contadino Raffaele Giulivo; Il giovane contadino Luciano Catapano; Il monaco questuante Gianni Lamagna; L'ufficiale francese Mario Grossi; L'oste Giulio Liguori; Primo paesano Gianni Lamagna; Secondo paesano Renato Baldassini; Le giovani contadine dell'albero Lucilla Galeazzi, Adria Mortari, Patrizia Nasini, Elisabetta Rosso, Delia Viola; Le due voci dell'albero Monica Benvenuti, Alessandra Rossi Trusendi; La danza di San Michele Ferdinando Gagliardi (San Michele), Pietro Gagliardi (Il diavolo); La venditrice di rami d'ulivo Patrizia Nasini; Prima sentinella George Stephen Woodbury; Seconda sentinella Mario Grossi; Il trombettiere Domenico Ceraso; La Morte Carlotta Sagna; I danzatori del Carnevale Ferdinando Galgliardi, Pietro Gagliardi, Elisabetta Rosso, Carlotta Sagnatop page
Mòn Brossa
CHIUDITeatre Nacional de Catalunya
Stagione 2001/2002
Ideazione regia: Franco Di Francescantonio
Scenografia: Jon Berrondo
Costumi: Miriam Compte
Musica: Jordi Collet
"L'arte è vita, e la vita,
trasformazione".
Franco Di Francescantonio, un uomo di teatro dal prestigio internazionale, si è immerso con il Mòn Brossa nell'universo poetico, personale e vario, praticamente inesauribile di Joan Brossa.
Attraverso una intensa investigazione del personaggio e della sua opera, Franco è arrivato ad una approssimazione spassionata, aperta a tutti gli elementi che integrano l'estetica brossiana.
Mòn Brossa nasce da uno sforzo collettivo di creazione di dodici giovani interpreti che formano la compagnia, sotto l'attenta direzione di Franco Di Francescantonio..
Attori di parola, ma anche cantanti, musicisti, acrobati, mimi, i dodici giovani hanno partecipato ad un gioco teatrale utilizzando tutte le discipline brossiane, e trasformando la Sala Petita del Teatro Nazionale di Catalunya in una scatola delle sorprese, in uno spazio dinamico in costante trasformazione, popolato da una serie di personaggi che compartecipano ad intraprendere un viaggio appassionato nell'universo creato da Joan Brossa.
Poesie visuali, piatti roteanti, pezzi di poesia serviti delicatamente per rendere l'improvvisazione, il trasformismo, l'arte fascinatrice di Fregoli, la magia, le immagini impossibili, il cinema e il cabaret, ballerini e trapezisti, l'assurdo e la poesia.
Una fitta pioggia di immagini e suoni, riferimenti brossiani che colpiscono lo spettatore come in una cerimonia festiva, una festa privata.top page
Notturno
Liberamente tratto da G. D'Annunzio
CHIUDIProgetto drammaturgico, scene e regia: Massimo Luconi
con: Franco Di Francescantonio, Fernando Maraghini, Rosella Testa
Musiche originali: Litfiba
Costumi:: Giuliana Colzi
Capri - Villa Fersen - Dal 14 al 18 settembre 1994
Sono ben note a tutti le circostanze straordinarie che portarono D'Annunzio a concepire e a stendere il "Notturno": al rientro da un volo di guerra, nel 1916, l'idrovolante su cui si trovava andò ad arenarsi contro un banco di sabbia, sbalzandolo col capo contro la mitragliatrice di bordo, il che lo privò per sempre dell'occhio destro ma mise in pericolo pure il sinistro, consigliando di imporgli un periodo di buio totale nella speranza di salvare quel che rimaneva della vista. Condizioni tremende di vita che avrebbero depresso chiunque altro, non il Vate, che invece paradossalmente si sentì esaltato nelle sue doti migliori. Infatti a quel modo veniva meno ogni contatto con l'esterno, ogni alimentazione estrinseca, e il poeta doveva ormai contare soltanto sulla propria dotazione interna, chiamato così a frugare dentro di essa, a sollecitarla, a cavarne fuori ogni bene: come quando si schiaccia l'occhio facendone uscire immagini endoptiche o quando si fruga nelle cenere di un fuoco in apparenza estinto suscitandone nuove faville. D'Annunzio insomma divenne, a quel modo, una sorta di emittente allo stato puro, libera da ogni condizionamento estrinseco. E straordinaria fu pure la modalità espressiva che egli seppe trovare: la figlia Renata, in una stanza attigua, gli ritagliava delle strisce di carta lunghe e strette, i cartigli, che il Poeta faceva scivolare tra le dita scrivendovi le frasi incalzanti suscitate dai barbagli interiori, in una sorta di encefalogramma, scorrente sicuro e continuo, con i suoi picchi, le sue arsi e catarsi.
A questo modo il Vate aveva vinto la sua battaglia, raggiungendo condizioni ideali di esercizio delle migliori virtù creative. Ma supponiamo che un povero regista voglia portare tutto ciò sulla scena, come dovrà comportarsi? Guai a lui se sta ai termini di questo splendido gioco, se cioè intende inserirsi direttamente su questo magnifico scorrimento: non potrebbe che esserne un docile propagatore, funzionando come una sorta di altoparlante o di lente di ingrandimento.
Scatta qui la bella invenzione di Massimo Luconi, che ha pensato di prendere in contropiede questa grande macchina espressiva, sottoponendola a un crudele punto di vista esterno. il Vate, al suo interno, era tutto un fremito e un palpito, ma come l'avrebbero visto gli eventuali testimoni esterni, supposto che avessero potuto entrare nella stanza buia? Come si presenta la lava vista dal di fuori, quando si raffredda e si opacizza? Come sarebbe apparso il Comandante ad occhi estranei a quel suo ardore intimo, e non del tutto disposti a solidarizzare con lui? Avrebbero colto un triste spettacolo legato ai dati reali della situazione, che mostravano un anziano (tale era ormai da considerarsi D'Annunzio, ultracinquantenne), ridotto all'immobilità, costretto alla poltrona, come un malato qualunque, oltretutto assediato dal pensiero incalzante della morte. A questo scopo, bisognava fare sparire dalla scena Renata, troppo legata al protagonista, come se ne fosse una longa manus, quasi una sua docile proiezione, e sostituire ad essa la governante-amante Aelis, certamente anch'essa vicina al grande paziente, ma più capace di portare su di lui uno sguardo esteriore, e un cameriere, anch'egli forte di ogni possibile esteriorità, da uomo comune. Non più, dunque, un'emissione lineare, monodica, a un'unica pista sonora, ma un gioco plastico, e dunque anche drammatico, di opposizione continua tra due punti di vista: l'interiorità dannunziana, che certo non viene negata, ma anzi recuperata a vividi spezzoni, a faville splendenti e brillanti, ma che risulta via via contrastata da implacabili sguardi esteriori, volti a ricondurre il destino del Vate a una comune, piatta prospettiva di creatura dolorante, avviata alla morte, immersa nella sofferenza, come ce ne sono tante nella nostra normale condizione umana.
Renato Barilli
Il Notturno appartiene alla parte più segreta della produzione di D'Annunzio, è una specie di diario, una ritmata successione di sogni, di allucinazioni e sensazioni che trovano il proprio disegno narrativo nello stesso rapido susseguirsi da visione a visione, in un intreccio di piani temporali e in una continua altalena tra realtà e allucinazione.
Lo stile ha un carattere fortemente innovativo, organizzato in rapide e folgoranti notazioni, in frasi brevi e asciutte che producono da elemento a elemento una tessitura musicale.
Il desiderio ossessivo di "una vita inimitabile", dove la vita è in sé stessa un'arte, è uno dei temi su cui si delinea uno spettacolo che cerca di isolare il fondamentale lirismo e impressionismo musicale e visivo del Notturno, usandone alcune parti come uno spartito dove la parola e la costruzione sintattica sono già organizzate con segni musicali.
Le musiche ideate dai Litfiba nel 1988 per la prima edizione dello spettacolo al Vittoriale, costituiscono parte integrante del tessuto narrativo e l'elemento rock diventa così una citazione interna al personaggio D'Annunzio, la parte di più estremo esibizionismo dove senso di morte e spettacolarità si uniscono in un divismo che ancora oggi non cessa di sedurre.
Franco Di Francescantonio, fuggendo da realismi figurativi, offre le sue doti espressive, gestuali e fonetiche a un D'Annunzio malato e infermo (entra in scena su una sedia a rotelle) avvolto in un bianco lenzuolo, che richiama il biancore della pagina, e con il volto coperto da un cerone clownesco da vecchio attore costretto a una continua recita di sé stesso: "chi sono io? Artista, scrittore, filosofo, alchimista, imbroglione..."
Massimo Luconi
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"...o non..."
CHIUDIAssolo di Franco Di Francescantonio
Una creazione per "Danza Primavera" Grassina. 12-05-1993
"Essere o non essere, questo è il problema..."
Forse le parole più dette dagli attori del mondo, sicuramente quelle più prossime al loro cuore. Ho voluto fermarmi su questa frase, scomporla, analizzarla e cercare di dare "movimento" a questo eterno dubbio, per creare teatralmente una delle possibili, infinite situazione che possono esprimere questa affermazione così prepotente, essere, e la sua immediata negazione, o non.
Non sarà Amleto a pronunciare il famoso monologo, non sarà un danzatore a dare "corpo" al gesto, ma un attore che, privato del ruolo da interpretare, ne crea uno con la sua fantasia, che lo aiuti a liberare l'emozione, a capire la sua forza e imprigionare quell'esperienza che sarà elemento determinante del suo Essere attore e del suo Essere uomo.
Il dubbio, il problema: la condizione instabile, incerta, fragile, ambigua di chi si pone domande e la profonda verità emozionale che da questo attimo scaturisce. In questo assolo sono stato anche stimolato da una piccola curiosità, di nessun valore letterale (si tratta di una traduzione), nata da un gioco che spesso faccio per capire il senso di una frase: scrivendo e riscrivendo "essere o non essere" mi sono accorto, casualmente, che questa frase ne conteneva un'altra: "esseRE O NON Essere". "Reo non è".
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